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Camarón.
La sua voce e la musica nell’aria. Il sole e il profumo di vernice fresca, gialla, verde, azzurra, arancione. Un maglione leggero viola e il mal di gola rosso che probabilmente arriverà domani.
Andare a scuola di sabato ha un sapore d’adolescenza. Raschiare le gomme attaccate sotto ai banchi da giorni, settimane, mesi, anni, decenni ha il sapore di un passato che è un po’ anche il mio. Non qui in questa città, ma pur sempre passato.
Ricordo l’oggi dell’anno scorso molto bene. Il cielo era simile, i vestiti forse proprio gli stessi, la voglia di darsi da fare, la scuola aperta di sabato e un telefono nuovo. E il desiderio di scrivere a qualcuno impegnato con qualcun altro. Intuirlo, senza però saperlo.
Oggi quella voglia non c’è, ma c’è la certezza che quel qualcuno è impegnato con qualcun altro.
Allora, come si fa in quelle occasioni in cui si sa che il decesso è vicino, la mia testa inizia a scrivere un coccodrillo emozionale.
Io mi odio quando faccio così:
“Lo sapevo che sarebbe successo. Leggere te attraverso le parole altrui.
E lo sapevo che la tua pelle non era la mia pelle, e che certi tuoi angoli non erano i miei angoli.
Eppure, quando mi fermo a pensare al tempo che è stato, al marzo dell’anno scorso e a questo, tutto sembra così slegato che non lo so più chi erano quei due che si scrivevano con il desiderio tra le dita e le bocche in attesa del tempo.
Nei pomeriggi di sorrisi e carezze lunghissime, in mezzo alla pioggia di giorni sporchi di polvere e pagine scritte a inchiostro e sanguigna.
Dimmi, ma tu li vedi ancora quei due ancorati ai loro letti?
Forse ce li siamo soltanto sognati e mai sono stati.
E però sembravano belli.
Lo sembravano davvero.”
Ellos dicen